Due notizie, una buona una (forse) meno, per celiaci e intolleranti al lattosio (va da sé che parliamo di veri celiaci e intolleranti al lattosio, meglio precisarlo visto che un italiano su 4 è convinto di avere allergie o intolleranze alimentari, ma in realtà ne soffre solo il 4,5% degli adulti e il 5-10% dei bambini, un dato gonfiato dall’uso di test complementari e alternativi di moda negli ultimi anni ma privi di validità scientifica). Dicevamo, la buona notizia per celiaci e intolleranti al lattosio è che per i prodotti dedicati a loro arrivano regole (in apparenza) chiare. Quella meno è che presto questi alimenti saranno considerati alla stregua di quelli destinati a un consumo ordinario, con il rischio di essere meno controllati.
A oggi, per realizzare prodotti di questo tipo è indispensabile l’autorizzazione dal ministero della Salute, tutto è molto controllato, addirittura l’etichetta viene passata ai raggi X. Questo prevede la categoria protetta degli ADAP, vale a dire “alimenti destinati a un’alimentazione particolare”. Dopo invece chiunque potrà produrre cibo per celiaci senza essere assoggettato a controlli preventivi.
Infatti gli ADAP verranno sostituiti da un regolamento europeo, il 609, che introduce una sorta di deregulation e che entrerà in vigore dal 20 Luglio 2016.
Cosa troveremo sugli scaffali a partire dal 20 Luglio 2016?
Intanto va detto che le novità dividono gli interessati, da una parte chi gioisce parlando di semplificazione, dall’altra invece chi ritiene che i celiaci, così come gli intolleranti al lattosio, siano stati abbandonati a sé stessi. Ma proviamo a capire cosa cambia davvero, a iniziare da una domanda rimasta senza risposta: quanto glutine e quanto lattosio devono esserci nei prodotti dedicati, per esempio la pasta o il latte, perché si possano applicare sulla confezione le diciture “senza glutine” e “senza lattosio”?
Il ministero della Salute è intervenuto per chiarire alcuni dubbi.
Per essere etichettato “senza glutine”, un prodotto non potrà contenere oltre 20 ppm (parti per milione), vale a dire 20 milligrammi per ogni chilo di prodotto. In presenza della scritta “con contenuto di glutine molto basso” la sostanza non deve invece superare i 100mg/kg.
Soglia di sicurezza
Evidentemente per il ministero “senza glutine” non equivale a “zero glutine”. Domanda: e i celiaci possono nutrirsi ogni giorno con una sostanza a loro vietata? Secondo l’Istituto Superiore di Sanità sì, entro una soglia di sicurezza però. La prova è in uno studio pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition che fissa in 10 mg al giorno la quota di glutine che si può ingerire la senza che la mucosa intestinale venga danneggiata (pensiamo che una mollica di pane ne contiene all’incirca un milione di mg.).
Una soglia confortante, equivalente per esempio a 250-300 grammi di pasta “senza glutine”.
Ma se “senza glutine” non corrisponde a “zero glutine” è anche perché misurare con precisione il livello di glutine degli alimenti è complicato anche per gli addetti ai lavori, oltre che assai costoso. Come dimostrano i prezzi dei prodotti senza glutine chi li produce non lo fa certo per beneficenza, e dei controlli molto costosi imposti per legge rischierebbero di estromettere molte aziende dal mercato.