L’iceberg della celiachia sta emergendo: 15-20 anni fa pochi conoscevano questa malattia e pochissimi ricevevano la diagnosi, oggi moltissimi sanno più o meno che cos’è e quali sintomi intestinali e non possano dipendere proprio dalla celiachia. «Nonostante ciò mancano ancora pazienti all’appello: in Italia, stando alle stime, dovremmo avere circa 600mila casi, ma i diagnosticati sono circa 150mila – osserva Caterina Pilo, presidente dell’Associazione Italiana Celiachia -. Inoltre, in media, occorrono ancora sei anni prima della diagnosi perché tuttora i pazienti “vagano” facendo spesso esami inutili o rivolgendosi alla medicina alternativa». Eppure l’iter diagnostico è codificato: si cercano nel sangue gli anticorpi anti-transglutaminasi, anti-endomisio e anti-gliadina, poi si conferma il sospetto con una biopsia intestinale, che mostra la scomparsa dei villi intestinali; in alcuni casi si aggiunge l’analisi genetica, perché la predisposizione alla celiachia dovuta alla presenza di specifiche varianti del DNA è una condizione indispensabile perché si sviluppi la malattia. Negli ultimi 10 anni il numero delle nuove diagnosi è cresciuto circa del 10% all’anno, in parte per la maggior sensibilità al problema, in parte perché la patologia sembra in aumento, come spiega Luca Elli, del Centro Celiachia del Policlinico di Milano: «Studi condotti su campioni di sangue congelati anni fa suggeriscono che la celiachia riguardi oggi una parte più consistente della popolazione rispetto al passato. È probabile che ciò sia legato alla modifica dei prodotti alimentari, perché alcuni grani sono stati selezionati per contenere più glutine e potrebbero perciò essere più “aggressivi” per un maggior numero di persone; inoltre, la celiachia è in crescita come tutte le altre patologie autoimmuni, per motivi solo parzialmente noti, tra cui ad esempio l’inquinamento ambientale che farebbe “deragliare” più spesso la risposta immunitaria».
Nel caso della celiachia, infatti, il sistema immunitario risponde in maniera anomala al glutine e attacca l’organismo, provocando la distruzione delle estroflessioni dell’intestino, i villi deputati all’assorbimento dei nutrienti. «L’intestino è il maggior punto di contatto fra il nostro organismo e l’ambiente: è 100 volte più esteso della pelle e contiene grandi quantità di linfociti – spiega Gino Roberto Corazza, direttore della Clinica Medica al Policlinico San Matteo di Pavia -. Ha perciò una enorme reattività immunologica e alcuni fattori possono scatenarne la risposta eccessiva contro il glutine: la terapia con interferone, un potente stimolatore aspecifico del sistema immunitario, può ad esempio favorire la comparsa di celiachia, così come l’esposizione a qualsiasi elemento che possa attivare l’immunità». Così nei soggetti predisposti la malattia può comparire a ogni età, magari dopo un’infezione, a seguito di uno stress, perfino dopo un viaggio in cui le condizioni igieniche precarie abbiano alterato le condizioni dell’intestino. Purtroppo, la celiachia è anche associata a complicanze: se non è ben curata, ad esempio, può favorire la comparsa di linfomi intestinali, osteoporosi, infertilità e, se ci si ammala da piccoli, può compromettere l’accrescimento corporeo. «Chi è omozigote per il gene che predispone alla celiachia, ovvero ne possiede due copie nel corredo genetico, è più a rischio di sviluppare conseguenze negative – spiega Corazza -. Lo stesso è vero per chi riceve la diagnosi con ritardo, perché resta più a lungo in contatto con il glutine; anche la mancata aderenza alla dieta, l’unica terapia possibile, espone a rischi». Non essere rigidi nell’esclusione del glutine, aumentando l’infiammazione intestinale e generale, sembra associarsi ad esempio a una probabilità più elevata di coronaropatie. Per fortuna, però, la vita dei celiaci oggi è molto più semplice rispetto al passato, perché l’Italia è uno dei Paesi dove c’è stata maggiore attenzione al problema e basta entrare in un supermercato per accorgersi che ormai esistono prodotti senza glutine per tutti i gusti.