Alcune aziende alimentari cavalcano la moda del gluten free fornendo informazioni fuorvianti al consumatore. Anche se un regolamento europeo vieta queste pratiche. Ma c’è chi arriva a scriverlo anche sull’acqua minerale
Se per i 200.000 celiaci italiani la dicitura “senza glutine” sugli alimenti è vitale, perché consente loro di fare la spesa senza timore di mettere a rischio la propria salute, c’è una vasta fetta della popolazione italiana molto attenta a questa categoria di prodotti nonostante non ne abbia un reale bisogno. È la moda del “senza glutine”, rilanciata anche da diverse star internazionali, che ha portato milioni di persone ad acquistare prodotti per celiaci per provare a dimagrire o perché è convinta di avere la celiachia senza che gli sia stata diagnosticata.
Secondo un’indagine dell’Associazione italiana celiachia (Aic) su dati Nielsen, nel 2016 il mercato del gluten free in Italia ha toccato i 320 milioni di euro di valore. Ma di questi solo 215 sono stati spesi da pazienti con diagnosi. E le imprese alimentari si sono adeguate producendo etichette a volte paradossali. L’ultimo caso, segnalato da un lettore del sito specializzato Il Fatto Alimentare, riguarda un tradizionale formaggio svizzero che vantava di essere gluten free. Proprio a questa segnalazione ha risposto l’Aic, sottolineando che i formaggi – a eccezione dei formaggini – sono sempre senza glutine e non potrebbero quindi riportare in etichetta questa presunta virtù.
Non è solo una questione di buon senso: il regolamento europeo 828/2014 ricorda che “le informazioni sugli alimenti non dovrebbero indurre in errore suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche”. La regola, insomma, è chiara: se normalmente un alimento contiene glutine (i prodotti da forno, ad esempio), si può rimarcare in etichetta che quella merendina non ce l’ha. Ma se nessun prodotto di quella categoria ha mai visto il glutine, non dev’esserne rimarcata l’assenza.
Qualcosa di simile, e forse anche più paradossale, succede con il thè confezionato. Secondo quanto denunciato da Gift, tre importanti marche italiane segnalano in etichetta l’assenza di glutine in un prodotto composto da acqua, infuso di thè, che è una pianta che non contiene glutine ed edulcoranti (naturali o artificiali). E all’estero c’è chi ha raggiunto l’apice: scrivere “gluten free” su bottiglie d’acqua minerale.
Non sono le uniche iniziative di marketing di questo tipo, poco utili ai celiaci (i quali sanno perfettamente che formaggi, thé o acqua non costituiscono alcun problema) e potenzialmente dannosi per le aziende che rispettano le regole: chi sottolinea l’assenza di un ingrediente rischia di convincere alcuni consumatori che altri cibi di quel tipo lo contengano. Anche se non è vero. È il cosiddetto fenomeno della “fake transparency”: le aziende non inseriscono in etichetta informazioni false ma fuorvianti approfittando del fatto che i consumatori non possono conoscere a memoria l’elenco degli ingredienti del cibo che comprano.