I dati di uno studio di screening italiano che ha sorpreso anche gli autori: la prevalenza in fascia pediatrica è passata dallo 0.8% degli anni 90 all’1,6%. E il 70 % dei casi rimane sommerso
In 25 anni, il numero dei bambini celiaci italiani è raddoppiato: mentre negli anni ’90 la prevalenza della celiachia in fascia pediatrica era dello 0.8 per cento, oggi è pari all’1.6%. È il risultato di uno studio di screening condotto su circa 8000 bambini delle scuole primarie di 7 città sparse dal nord al sud della Penisola.
Un risultato sorprendente per gli stessi autori della ricerca, che è in attesa di pubblicazione ma che è stata presentata nel corso del sesto congresso mondiale della European Sociey for Paediatric Hepatology and Nutrition.
“Sulla base dei dati ottenuti in un gruppo di bambini della stessa età a metà degli anni 90, abbiamo dimostrato con questo nuovo studio che la prevalenza della celiachia in età scolare è raddoppiata in 25 anni”, dice Elena Lionetti, professore associato di Pediatria all’Università politecnica delle Marche, dirigente medico all’ospedale Salesi di Ancona e coordinatrice con Carlo Catassi, professore ordinario di Pediatra nello stesso ateneo, della ricerca. “È evidente – ha aggiunto – che ci sono più casi di celiachia rispetto al passato e che non potremmo scoprirli senza una strategia di screening”, aggiunge Lionetti.
Un sommerso del 70%
“Avevamo due obiettivi – riprende la pediatra – il primo: cercare la prevalenza attuale della celiachia in fascia pediatrica nel nostro paese, visto che le ultime informazione a diposizione erano molto datate. Il secondo: capire quale fosse il sommerso della celiachia, che è una malattia iceberg, sotto la punta c’è tanto. E abbiamo visto che nella fascia di popolazione 6-11 anni emerge solo il 30% dei casi, il 70% è sommerso”.
I ricercatori hanno coinvolto le scuole elementari di 8 città, tre grandi centri: Roma, Milano, Bari e 5 più piccoli: Padova, Verona, Ancona, Salerno e Reggio Calabria (“di una – dice Lionetti – abbiamo i dati ancora provvisori, delle altre 7 quelli definitivi”). Col consenso delle famiglie hanno sottoposto i bambini a una puntura capillare per individuare chi tra loro fosse geneticamente predisposto ad ammalarsi. “Cioè – spiega Lionetti – i portatori di due varianti geniche: HLA-DQ2 e HLA-DQ8. E lo era il 40% del campione. Poi, solo nei bambini con predisposizione, anche se essere predisposti non significa che ci si ammalerà, siamo andati a cercare gli anticorpi anti-transglutaminasi, ovvero le immunoglobuline che si riscontrano nei celiaci. Il risultato ci ha sorpreso: la prevalenza di malattia nella popolazione generale è circa l’1%, nello studio italiano pediatrico degli anni ’90 era dello 0.8%, e ora, in questo nuovo studio pediatrico, è dell’1,6%, il doppio esatto, 25 anni dopo”.
La celiachia è una patologia autoimmune da cui si guarisce completamente escludendo dalla dieta il glutine, una proteina che si trova in frumento, orzo, segale, kamut, farro. Sotto l’azione degli anticorpi antiglutine i villi intestinali (le estroflessioni della mucosa intestinale che aumentano la superficie e la capacità assorbente del tubo digerente), si appiattiscono fino a scomparire, così che l’intestino non è più in grado di assorbire efficacemente i nutrienti né di fare da barriera nei confronti delle sostanze tossiche eventualmente ingerite con gli alimenti.
“I bambini celiaci che assumono glutine vanno incontro a questo fenomeno distruttivo anche se sono asintomatici e possono subire un arresto della crescita, un ritardo puberale, rischiare carenze di ferro, calcio e vitamina D, con indebolimento delle ossa, problemi ginecologici, come infertilità e abortività, e neurologici, come neuropatie periferiche o cefalea, fino ad avere una probabilità più elevata di linfomi intestinali”, riprende la pediatra.
Il perché di un raddoppio
Ma, detto ciò, quali sono le ragioni che possono, o potrebbero, spiegare un raddoppio della prevalenza di celiachia in età pediatrica in meno di 3 decenni? Perché, in fondo, i bambini come tutti noi, ingerivano glutine anche 25 anni fa… “È vero – dice la pediatra – però ancora una risposta a questa domanda ancora non possiamo darla. Possiamo fare solo ipotesi: potrebbero essere coinvolte le infezioni intestinali della prima infanzia, o l’uso esteso di antibiotici, che sono farmaci che modificano la composizione del microbioma intestinale che a sua volta modula il sistema immunitario. Un’altra idea è che potrebbe essere cambiata la qualità del grano, il principale cerale consumato in Italia, forse per via dell’uso di nuovi prodotti chimici: noi non sappiamo se il frumento di oggi è più immunogeno di quello di 30 anni fa. Studi recenti, tra i quali uno che proprio noi abbiamo pubblicato sul New England Journal of Medicine, hanno dimostrato che, a differenza di quanto si è ipotizzato in passato, l’età di inserimento del glutine nello svezzamento non è coinvolta nello sviluppo della malattia”.
Lo screening
È chiaro che per sottoporre a screening tutti i bambini sarebbero necessarie davvero molte risorse. “Sì – conferma e conclude Lionetti – ma a fronte delle eventuali complicanze provocate dalla malattia non diagnosticata la bilancia tra costi e benefici sarebbe probabilmente a favore dei benefici per la salute pubblica. C’è comunque anche un dibattito intorno all’età di screening: i celiaci sviluppano la malattia anche oltre l’età scolare. Non c’è insomma un momento preciso per riuscire con un test a individuarli tutti”.