Non esiste un rimedio contro la celiachia se non quello di evitare il glutine. La malattia celiaca, infatti, non è propriamente un’allergia o un’intolleranza al glutine, bensì una infiammazione cronica dell’intestino tenue che se ignorata può avere conseguenze anche molto gravi sulla salute.

Vediamo allora quali sono le cause della celiachia, come viene diagnosticata e quali sono i modi per tenerla sotto controllo con l’aiuto di Luca Elli, gastroenterologo, professore all’università di Milano e responsabile del centro di riferimento per la prevenzione e la diagnosi della malattia celiaca al policlinico di Milano.

“La malattia celiaca è una enteropatia, una malattia autoimmune molto frequente, che interessa tra l’1 e il 2% della popolazione”, spiega il professor Elli. “Esiste una predisposizione genetica, dovuta a un particolare assetto di alcuni geni, chiamati HLA, legata allo sviluppo di questa malattia. Eppure, solo una piccola percentuale di coloro che hanno questa predisposizione genetica sviluppa effettivamente la celiachia. Questo suggerisce l’esistenza di altri fattori, di tipo ambientale oppure genetici ma ancora sconosciuti, che scatenano la malattia”.

“Il fattore ambientale principale è il glutine”, continua il professor Elli. “Sappiamo, infatti, che l’ingestione di glutine da parte di soggetti con la predisposizione genetica in questione può scatenare una reazione autoimmune che può causare l’atrofia del piccolo intestino, che viene spesso rilevata con una biopsia duodenale, e tutti i sintomi che ne possono derivare, dai più “classici”, come la diarrea e il calo ponderale, ad alcuni più subdoli, che non coinvolgono l’apparato gastroenterico.

La diagnosi nella maggior parte dei casi viene effettuata tramite un esame di screening molto efficace e semplice da eseguire, che consiste nella ricerca degli anticorpi transglutaminasi e serve a capire se sia necessario approfondire ulteriormente le indagini con la biopsia duodenale. Nel caso in cui i pazienti siano bambini o bambine, le più recenti linee guida consentono talvolta di evitare la biopsia duodenale e di iniziare subito la terapia, che consiste sostanzialmente in una dieta priva di glutine”.

La celiachia, quindi, è una condizione che non si manifesta per forza fin dall’infanzia ma che può insorgere anche più tardi, in età adulta.

“I pazienti, una volta ricevuta la diagnosi, si domandano spesso se siano nati con questa condizione o se l’abbiano acquisita con il tempo”, riporta il professor Elli. “Chi nasce con la predisposizione genetica, infatti, tende a sviluppare solitamente questa malattia autoimmune in età pediatrica oppure tra i 30 e i 40 anni, con una predilezione per il sesso femminile, come succede spesso con le malattie autoimmuni in generale. Per questo, non è detto che coloro che vengono diagnosticati verso i 30-35 anni d’età abbiano sempre avuto la malattia. Non esiste, al momento, un biomarcatore che ci permetta di capire da quanto tempo questo tipo di disturbo sia in essere”.

Vediamo allora quali sono i principali sintomi che possono portare una persona a sospettare di essere celiaca.

“Esistono diversi quadri clinici”, sottolinea il professor Elli. “Quello classico, che attualmente è in generale anche quello meno frequente, per quanto sia più consueto nei bambini rispetto agli adulti, comprende la diarrea, il calo ponderale e disturbi fortemente gastrointestinali.
Come si è scoperto recentemente, sono molto frequenti, soprattutto negli adulti, dei quadri atipici, che comprendono sintomi intestinali molto lievi, come gonfiore o discomfort addominale, che vengono spesso confusi con semplici disturbi funzionali e quindi non sempre diagnosticati, fino a problematiche di carattere prettamente extra-intestinale, come nei pazienti con l’anemia sideroplenica, anche senza nessun sintomo gastrointestinale, oppure con problemi di poliabortività osteoporosi.
Accanto a questi quadri clinici dominati da problematiche di carattere intestinale, esiste inoltre una percentuale di pazienti, che si aggira attorno al 15%, che di fatto è asintomatica. Anche per questo motivo, quando viene fatta la diagnosi di un paziente celiaco, viene richiesto lo screening anche ai parenti di primo grado, poiché sappiamo che esiste una forte familiarità su base genetica. In questo modo è possibile individuare anche le persone celiache che non riferiscono nessun genere di sintomo.
Insomma, lo spettro della celiachia è variabile e variegato, ed è per questo che si spiega il ritardo diagnostico di questa patologia”.

Cosa succede, perciò, una volta ottenuta la diagnosi di celiachia? È necessario, innanzitutto, che il paziente si abitui a seguire una dieta priva di glutine.

“Il paziente deve essere scrupoloso e attento nel seguire questa indicazione”, insiste il professor Elli. “per quanto, naturalmente, capiti a tutti di sbagliare. Un errore estemporaneo non influenza la prognosi del paziente stesso. Al contrario, l’introito cronico di glutine, indipendentemente dalla qualità, da parte del paziente che volontariamente e sistematicamente non segue la dieta può avere delle conseguenze molto negative. Nei casi in cui la celiachia non viene trattata, ci sono delle complicazioni che vanno dal costante malassorbimento dei nutrienti, che causa anemia, rischio di osteoporosi e deficit nutrizionali, ma anche aumento di rischio delle problematiche oncologiche che coinvolgono specialmente il piccolo intestino, sia a livello di linfomi sia di adenocarcinomi.

Ai soggetti celiaci senza particolari problemi di salute o altri fattori di rischio è consigliato inoltre di sottoporsi a visite mediche o esami del sangue su base annuale o bi-annuale per monitorare la malattia nel corso del tempo”.

Insomma, è importante seguire la dieta. Eppure, cambiare le proprie abitudini alimentari potrebbe rivelarsi più difficile del previsto, specialmente per coloro ai quali la malattia è stata diagnosticata in età adulta.

“In Italia e nei paesi dove in generale è diffusa la dieta mediterranea, il glutine è molto presente anche nelle occasioni conviviali”, osserva Elli. “Per questo, una dieta priva di glutine può avere un impatto anche sulla vita sociale. La buona notizia è che negli ultimi anni c’è stato un importante miglioramento per quanto riguarda la diffusione e la qualità dei prodotti senza glutine, insieme a una maggiore attenzione verso questo tipo di disturbo anche da parte dei ristoratori. Per questo motivo, per il paziente è più semplice oggi seguire la dieta anche in viaggio o quando partecipa a eventi sociali.

È importante perciò che i pazienti adulti prestino attenzione alla dieta ma senza vivere la privazione del glutine come un ostacolo alla propria vita sia sociale che lavorativa.
Oggi, infatti, la dieta priva di glutine non comporta dei sacrifici estremi da parte del paziente e ha un impatto ridotto sulla qualità della sua vita.

Nel caso in cui dovessero riscontrare delle forti difficoltà nel seguire la dieta, diventa prezioso l’aiuto di nutrizionisti e dietologi.
Nella fase pediatrica il discorso è un po’ diverso, perché sono i care giver, ovvero i genitori o il personale scolastico a preparare i pasti, quindi l’intervento del nutrizionista è importante dal punto di vista educativo per istruire non solo i bambini e le bambine, ma anche chi si prende cura di loro”.

Infine, può essere interessante domandarsi se ci siano dei buoni motivi per evitare il più possibile il glutine anche da parte di chi non è affetto dalla celiachia. Infatti, stando a ciò che riporta l’Associazione italiana celiachia, può capitare che le persone decidano di seguire una dieta priva di glutine a prescindere dalla presenza di questa malattia.

A riguardo, il professor Elli precisa che “privare la propria dieta del glutine non comporta nessun tipo di aggravamento prognostico, basta seguire un alimentazione ben bilanciata. Negli ultimi anni, comunque, si è osservato che nei pazienti che hanno disturbi funzionali gastrointestinali, alcune tipologie di diete, tra cui quella senza glutine, sono legate a un miglioramento del quadro clinico, anche se non è chiaro se questo avvenga in seguito all’eliminazione del glutine o di altri alimenti, come i cosiddetti Fodmap. L’ipotesi che una dieta priva di glutine possa essere un fattore co-terapeutico in alcune malattie autoimmuni, specialmente quelle della pelle e dell’apparato neurologico, è ancora in fase di studio. Si tratta di un ambito di ricerca interessante che troverà delle risposte nei prossimi anni”.

FOnte: ilbolive.unipd.it