Con l’aiuto del professor Italo De Vitis, membro del comitato scientifico nazionale di AIC scopriamo insieme se la celiachia dipende da un gene o meno.

Questa patologia provoca una forte intolleranza al glutine. Il numero delle nuove diagnosi è in aumento e sono di più le donne. Alla base di questo disturbo c’è un malinteso: il sistema immunitario (di difesa) di un celiaco scambia il glutine per un nemico e lo attacca.

Questa reazione distrugge i villi intestinali, ostacolando un corretto assorbimento di vitamine e nutrienti da parte dell’organismo. Che cosa fare? Come riconoscere il disturbo e non confonderlo con un altro? Si guarisce dalla celiachia? Risponde alle nostre domande il prof. Italo De Vitis, membro del comitato scientifico nazionale di AIC (Associazione italiana celiaci) e professore aggregato dell’unità di medicina interna e gastroenterologia dell’Università Cattolica di Roma presso il centro integrato Columbus.

Si tratta di soggetti sani, che scoprono di essere malati se entrano in contatto con il glutine (proteina contenuta in alcuni cereali come frumento, segale, orzo, farro). In questo consiste la loro “diversità”. Ma escludendo il glutine dalla tavola, la celiachia non esiste. Eliminando certi cibi, quindi, si ritorna in salute, specie nei bambini (nei quali crea malassorbimento delle sostanze nutritive di base).

Nell’adulto, invece, può richiedere qualche tempo. In attesa del vaccino, la dieta priva di glutine (si trova nel frumento) e prolamine (ne sono ricche segale e orzo) è l’unica vera terapia a tutt’oggi disponibile. Ovviamente, essendo la condizione genetica e presente nei cromosomi a vita, anche la dieta dovrà essere seguita a vita. Ma il danno è reversibile: eliminando il glutine, i villi ricrescono del tutto (in meno di un anno) e scompaiono i sintomi, a volte tanto lievi da non pesare affatto sullo stato di salute generale.

I sintomi Senso di gonfiore, inappetenza e irregolarità intestinale rispecchiano l’entità e la diffusione della lesione (atrofia villare) lungo l’intestino tenue che crea carenze nutrizionali. Per esempio, se non assorbo il calcio, può subentrare una osteopenia o un’osteoporosi, quindi uno strato di “fragilità” dell’osso legato al danno intestinale. Se assorbo male il ferro, sono a rischio di anemia sideropenica. E così via. A volte, però, i sintomi della celiachia possono assomigliare a quelli di altre malattie come colon irritabile, ulcere gastriche, morbo di Crohn, infezioni parassitarie e anemia. Questo fa nascere molta confusione nella diagnosi.

Oggi si parla molto, e spesso in modo inappropriato, di intolleranze/allergie alimentari. Ma nell’allergia il paziente produce anticorpi di classe IgE contro sostanze esterne, che solo l’allergico non riconosce, e contro cui reagisce formando dei “soldati” che vigilano affinché nessun “nemico” entri nell’organismo. Le intolleranze, invece, sono reazioni (spesso chimico-fisiche) non immunologiche, e quindi senza creazione di anticorpi. Sono dovute a deficit enzimatici (come la mancanza di lattasi, che determina l’intolleranza al lattosio) o per liberazione di mediatori chimici, che determinano reazioni a carico della cute (orticaria), dell’apparato respiratorio (asma) o di quello digerente (gonfiore e diarrea). Questi sintomi aspecifici, ossia non strettamente indicativi di una condizione, sono spesso presenti anche nella celiachia che, alla luce delle ultime conoscenze, appare a tutti gli effetti una patologia autoimmune, che il glutine innesca con una serie di eventi a catena.

 

Paolo Cesarotti

Paolo Cesarotti Nutrizionista Laureato in Scienze biologiche con indirizzo Bio-Sanitario

Fonte: www.piusanipiubelli.it