La nuova guerra alimentare al glutine è giustificata? Gli scienziati per ora studiano i tanti disturbi che provoca
Dopo la condanna di carboidrati e grassi, sembra essersi scatenata una nuova guerra alimentare: quella contro il glutine. Colpevole non solo di una patologia come la celiachia, ma numerosi altri disturbi ora allo studio.
Victoria Beckham per tornare in forma, dopo la sua quarta gravidanza, ha sostituto pane, pasta, biscotti e pizza normali con gli omologhi gluten-free. Non è sola tra i vip a pensare che eliminare il glutine dal piatto sia la soluzione più semplice per dimagrire senza soffrire la fame, anzi sentendosi più cariche di energia: lo fanno anche Gwyneth Paltrow, Goldie Hawn, Jennifer Aniston, la ex first-daughter Chelsea Clinton (ha voluto un dolce nuziale gluten-free) e la conduttrice Oprah Winfrey che ha lanciato così l’ennesima moda dietetica tra gli americani.
Tanto che le vendite di alimenti speciali sono raddoppiate dal 2005 a oggi, per un ammontare di oltre 1,5 miliardi di dollari. Oggi negli Usa 60 milioni di persone acquistano ogni giorno alimenti senza glutine pensando di mangiare sano, ma sono pochi coloro che hanno una reale necessità: si stima infatti che la celiachia, cioè l’intolleranza a questa sostanza proteica contenuta nel germe di vari cereali (avena, frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale), colpisca circa l’1 per cento della popolazione mondiale, e una percentuale ancora più piccola (0,1-0,7) soffre di allergia al grano.
Ma, oltre a non esserci alcuna prova nella letteratura scientifica che eliminare il glutine faccia calare di peso, il rischio è esattamente l’opposto, perché i prodotti sostitutivi spesso sono ricchi di calorie (oltre che parecchio costosi). «Dopo anni all’insegna della dieta a basso contenuto di carboidrati, dopo la guerra ai grassi, ora è la volta della gluten-free che negli ultimi cinque anni è diventata la più popolare dieta di esclusione», conferma Alessio Fasano, direttore del Centro ricerche sulla celiachia dell’Università del Maryland School of Medicine di Baltimora. «Ma solo i celiaci devono astenersi dal glutine perché anche la più piccola quantità può scatenare una reazione infiammatoria che danneggia i tessuti dell’intestino, con gravi conseguenze sulla salute». Per uno studio del New England Journal of Medicine sono almeno 55 le malattie causate da questa intolleranza, compresi lupus e schizofrenia. E, secondo alcuni studi recenti, anche i bambini affetti da autismo migliorano seguendo una dieta gluten-free.
In Italia, i casi diagnosticati di celiachia sono oltre 110 mila ma sarebbero ben 500 mila le persone affette da questa patologia senza esserne consapevoli. Ogni anno ci sono 5 mila nuove diagnosi e nascono 2800 bambini affetti da intolleranza al glutine.
Non allergici al glutine ma ipersensibili
Di fatto, però, il quarto degli adulti americani “sani” che sta cercando di evitare o almeno ridurre la quota di alimenti con glutine dichiara di sentirsi molto meglio di prima. Perché? Solo effetto vip-mania? Non è così chiaro. Secondo Dee Sandquist, portavoce dell’American Dietetic Association, potrebbe esserci un vantaggio indiretto: chi elimina i cibi ricchi di glutine – e, oltre ai dolci e al pane, anche i tipici menù stile hamburger e patatine lo sono – tende a mangiare più frutta e verdura fresche e ad avere una dieta più sana in generale, con ovvie conseguenze sulla bilancia e sul benessere.
Ma potrebbe esserci anche un’altra spiegazione. E proprio il professor Fasano è alla testa di un gruppo di ricercatori che, hanno formulato un’ipotesi interessante: una fetta ampia della popolazione mondiale potrebbe essere affetta da gluten sensibility,ipersensibilità al glutine appunto. Una forma meno grave dell’intolleranza, ma comunque causa di disturbi per la salute. «La popolazione che ne soffre, in forme più o meno severe, potrebbe essere intorno al 6-8 per cento: solo in Italia, un “esercito” di 6 milioni spiega Fasano.
I primi a scoprire l’esistenza di questa patologia sono stati i pazienti stessi. Racconta Anna Sapone, gastroenterologa e ricercatrice della Seconda Università di Napoli: «Molto spesso mi sono trovata di fronte persone che avevano avuto precedenti diagnosi di colon irritabile resistente a qualsiasi terapia o che erano stati liquidati con il solito “stress e nervosismo”, che spiega tutto e niente risolve. I disturbi che mi riferivano erano molto vari: dolori addominali, emicrania, mente “annebbiata”, apatia e affaticamento, diarrea, formicolii o perdita di sensibilità agli arti. Alcuni sono venuti da me perché, avendo sentito parlare della celiachia, pensavano di esserne affetti, soprattutto perché provando di loro iniziativa a eliminare o ridurre la quota di alimenti contenenti glutine si sentivano meglio. Ma, una volta sottoposti all’esame del sangue, la malattia veniva esclusa. Però, se chiedevo loro di ricominciare a mangiare normalmente alimenti con glutine, i disturbi ricominciavano. Perciò ho deciso di approfondire. Fino a qualche tempo fa, la conclusione dei medici era che il vantaggio derivasse dal solo effetto placebo. Oggi invece sappiamo che possiamo prescrivere la dieta senza glutine, anche temporanea, con la certezza di “curare” il nostro paziente».
Gli studi stanno muovendo i primissimi passi: oggi non esiste ancora un test che possa dimostrare senza ragionevole dubbio la sensibilità al glutine, ma solo quelli che escludono che si tratti di celiachia. L’ipotesi di una nuova patologia è stata però già presentata a Londra durante una consensus conference con 14 opinion leaders mondiali della gastroenterologia e neurologia, supportata dal Dr. Schär Institute, una piattaforma informativa internazionale lanciata dall’azienda leader per la produzione di alimenti senza glutine (oltre 250, venduti in farmacia e nella grande distribuzione). Spiega Alessio Fasano: «La sensibilità al glutine condivide con la celiachia la maggior parte dei sintomi gastrointestinali, ma lo spettro dei disturbi è più ampio ed è differente anche la risposta del sistema immunitario che si vede attraverso la biopsia dei villi intestinali: mentre per la celiachia si tratta di una reazione autoimmune, in questo caso sembra un meccanismo innato, che non coinvolge la barriera intestinale. Di sicuro, però, c’è una reazione, che nel villo di una persona sana non avviene».
Glutine, nel piatto da soli 10 mila anni
«Il glutine, in generale, non è facile da digerire. Forse perché è stato introdotto nell’alimentazione umana solo 10 mila anni fa e, in termini evoluzionistici, non è poi un tempo così lungo per adattarsi all’assimilazione di una nuova proteina vegetale». Resta il fatto, però, che questo “rifiuto” sembra essersi scatenato solo negli ultimi decenni: chi ha mai sentito parlare di bisnonni che stavano male quando l’unico cibo disponibile erano pane e cipolle? In effetti, l’intolleranza al glutine ha cominciato a essere nota negli anni Quaranta: all’epoca però i medici pensavano fosse una patologia solo infantile e destinata a scomparire con la crescita.
«Negli ultimi venti-trent’anni, invece, ci si è resi conto che è estremamente comune. Anzi, è la malattia genetica più diffusa nel mondo», sottolinea Fasano. Uno studio su larga scala pubblicato negli Archives of Internal Medicine nel 2003 ha scoperto, infatti, che una persona ogni 133 soffre di morbo celiaco, ma la maggior parte nonlo sa. Ancora, una ricerca apparsa su Gastroenterology nel 2009 ed effettuata sul sangue di 10 mila persone ha evidenziato che l’incidenza dei casi di celiachia conclamata è cresciuta di quattro volte negli ultimi 50 anni. Cosa è successo? «Il glutine è la componente proteica più presente nella nostra dieta», spiega Carlo Catassi, docente di Pediatria presso l’Università Politecnica delle Marche, ad Ancona: «Anche se ha un basso valore nutrizionale ed è carente di alcuni aminoacidi, ne introduciamo circa 15-20 grammi al giorno. Perché, nell’impasto di farina e acqua, compie il miracolo: forma una specie di rete che trattiene gli amidi e i gas che si creano durante la lievitazione, permettendoci così di gustare pane e pizze fragranti e morbide. Il frumento che usiamo oggi è il risultato di un incrocio tra varie spighe, con tre differenti corredi genetici».
Il grano del passato era diverso: per averne la prova, basta guardare il quadro I mietitori di Pieter Bruegel, del 1565, dove le spighe sono più alte delle persone. Continua Catassi: «Un’ipotesi è che nell’intolleranza c’entri la selezione genetica delle piante di grano avvenuta in modo spinto proprio nell’ultimo secolo, quando sono state selezionate le varietà con una resa migliore per l’impasto». Questa sorta di “super-glutine” ha provocato, nelle persone predisposte, la comparsa di reazioni avverse agli alimenti che lo contengono. «Ha infatti la capacità di scardinare i meccanismi di difesa immunitaria dell’organismo o di aumentare la permeabilità intestinale, con effetti tossici.
A ciò si aggiunge l’ipotesi igienica: l’eccessiva sterilità degli alimenti, trattati con pesticidi, fertilizzanti e altre sostanze chimiche, e delle condizioni di vita ci ha resi più vulnerabili alle allergie rispetto ai nostri nonni».
Non solo celiachia ma tante nuove intolleranze
Conclude Alessio Fasano: «Ci sono ancora molte domande che attendono una risposta, e il prossimo passo saranno gli studi in doppio cieco, dove cioè né il paziente né il medico sanno se l’alimento ingerito contiene o no glutine. Ma trent’anni fa c’era molto scetticismo anche riguardo alla celiachia e, ancora oggi, il 5 per cento dei pazienti che hanno dal medico una prima diagnosi di colon irritabile sono in realtà affetti da celiachia non riconosciuta. Ci sono molte patologie legate agli alimenti, si pensi all’intolleranza al lattosio, che pure è sempre più frequente, e le reazioni avverse si manifestano sempre di più nei bambini. Studiare l’ipotesi della sensibilità al glutine ci insegnerà molte cose sul sistema immunitario che, nell’ultimo secolo, si è trovato a fronteggiare moltissimi “nemici” nuovi, e non sempre è preparato a farlo». Ciò aprirà la strada anche alla ricerca su nuovi farmaci: al momento, la pillola per curare la celiachia è, purtroppo, ancora un miraggio.
Fonte: www.elle.it