Lettera aperta del Presidente dell’Associazione Italiana Celiachia in risposta a questo articolo
Gentile Direttore,
scrivo in riferimento della notizia apparsa sul suo giornale il giorno 12 settembre scorso, a proposito dell’intervento dell’Antitrust sull’erogazione della terapia senza glutine per i malati di celiachia. Fatto salvo per alcune imprecisioni sui contenuti delle delibere regionali citate (in realtà, a prevedere ostacoli normativi espliciti alla diversificazione dei canali distributivi sono solo due Regioni, Sardegna e Valle d’Aosta), non si può che approvare l’intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza.
L’Associazione Italiana Celiachia che mi onoro di presiedere, da anni indica la diversificazione dei canali distributivi come modello organizzativo capace di garantire un risparmio della spesa pubblica per l’assistenza, ancora essenziale, ai celiaci. Da anni, periodicamente (ogni 12 mesi circa) rileviamo i prezzi del mercato senza glutine in tutta Italia e i dati ci evidenziano sempre che, a parità di prodotto, la GDO consente un risparmio sensibile, denari che resterebbero nelle casse della sanità pubblica consentendo di assistere un numero crescente di pazienti.
Inoltre, se la diversificazione dei canali distributivi e, quindi, il risparmio generato, fosse garantito sull’intero territorio nazionale, potremo migliorare il “potere d’acquisto” dei tetti di spesa per la terapia senza glutine a livello nazionale, garantendo la sostenibilità di tale importante assistenza.
L’adozione di differenti modelli organizzativi da parte delle amministrazioni regionali discrimina i pazienti nel loro accesso al diritto alla salute: il celiaco toscano riceve buoni da 20, 10 e 5 euro e può utilizzarli quando vuole nell’arco del mese e dove vuole, anche scegliendo i punti di distribuzione che praticano prezzi inferiori, consentendo così un risparmio della spesa pubblica; il celiaco campano, invece, può ritirare gli alimenti una due volte al mese, ma deve farlo in un unico punto di distribuzione stesso esercizio. Solo i celiaci di 12 regioni possono andare nei supermercati a ritirare gli alimenti necessari alla propria dieta e anche il tetto di spesa e la classificazione per fascia d’età è variabile da regione a regione.
Eppure abbiamo una legge dello stato (Decreto Veronesi maggio 2001 e poi il decreto 4/5/2006) che stabilisce il tetto di spesa di riferimento. Così come altra legge dello Stato (L.123/05 art 4) attribuisce al Ministro della Salute il potere di definire le modalità organizzative. Una comune modalità di erogazione che dematerializzi i buoni in una piattaforma informatica comune in tutte le regioni, consentirebbe circolarità non solo tra i canali distributivi, ma anche da regione a regione, superando l’annoso ostacolo al riconoscimento dell’erogazione fuori dalla regione di residenza.
La digitalizzazione dell’assistenza ai celiaci, a pieno titolo inserita nel più ampio obiettivo della Sanità Digitale dell’attuale Governo, renderebbe inutile il discutibile ricorso di alcune amministrazioni a derubricare l’assistenza ai celiaci da garanzia di accesso ad una terapia salva vita ad una forma di integrazione al reddito con la conversione in denaro dell’assistenza ai pazienti, che rendono più difficoltoso il controllo su quanto viene effettivamente acquistato, producendo o il rischio di maggiori spese per le necessarie verifiche di corretta destinazione dei fondi o il rischio di minore aderenza del paziente alla corretta terapia in caso di controlli sporadici a campione.
Non dimentichiamo che l’aderenza alla terapia, per patologie croniche come la celiachia, ha ovunque percentuali basse, e nuove forme di assistenza andrebbero valutate sempre sulla base di una analisi costi/benefici che tenga in conto anche il costo del riacutizzarsi dei sintomi o l’emergere di complicanze, anche molto gravi, che una dieta senza glutine non seguita correttamente può comportare per chi soffre di celiachia.
Complici la pressione del mercato del senza glutine e una dilagante ignoranza scientifica che la rete amplifica, la celiachia, malattia sistemica severa, è sempre più spesso confusa con una moda del senza glutine che induce, immotivatamente, soggetti sani a fare autodiagnosi e praticare l’autocura adottando una dieta priva di glutine del tutto inutile per i non celiaci.
Il rischio è di non trovare i veri malati di celiachia, ancora oggi per lo più inconsapevoli: oggi in Italia solo il 30% dei malati hanno una diagnosi, gli altri si espongono a complicanze gravi senza saperlo, che domani ci costeranno molto di più che diagnosticare e curare oggi i celiaci veri.
Eppure abbiamo gli strumenti scientifici per avere in Italia una rete di medici capaci di fare diagnosi rapide: il Ministero della Salute lo scorso anno ha aggiornato il Protocollo di Diagnosi e Follow up di Celiachia, pubblicato in GU 191/15. La sua più ampia diffusione ci farebbe risparmiare molto in esami inutili e costosi e di prevenzione.
Giuseppe Di Fabio
Presidente Associazione Italiana Celiachia
Fonte: www.quotidianosanita.it