Questa epidemia silenziosa investe l’uno per cento della popolazione solo nel nostro Paese e genera un business da 320 milioni all’anno: un treno da non perdere anche per i ristoratori, che da qualche anno sono sempre più impegnati ad immaginare nuove ricette tollerabili, buone e belle

La celiachia è una infiammazione cronica dell’intestino tenue, scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. Secondo i dati AIC circa l’1 per cento della popolazione italiana è celiaca. Si calcola che circa 4 celiaci su 6 non sappiano di esserlo. Al momento la dieta senza glutine, osservata con rigore per tutta la vita, è l’unica terapia disponibile. Se non diagnosticata e non trattata con la giusta alimentazione, la celiachia può avere anche conseguenze fatali. Un’epidemia silenziosa, insomma. Il mercato nato da questa questa patologia solo in Italia vale complessivamente 320 milioni di euro, di cui due terzi sono riconducibili all’erogazione degli alimenti senza glutine ai celiaci assistiti dal Sistema Sanitario Nazionale. Il terzo restante riguarda acquisti fatti per ragioni diverse dalla celiachia, compresa la convinzione che diete prive di glutine siano arbitrariamente più salutari. In questo business, soprattutto con lo stop obbligato imposto dal Covid, c’è un posto riservato per i ristoratori. La chiave d’accesso? La formazione sempre più attenta al gluten free (e a tutte le cucine “senza”).

Una popolazione in crescita

Crescono anche i locali che sono in grado oggi di fornire pasti adatti a chi soffre di celiachia o intolleranza al glutine. Dal 2000 i luoghi che hanno aderito al programma dell’AIC, Alimentazione Fuori Casa senza glutine (AFC) sono cresciuti costantemente. Si è passati da un centinaio di locali nel 2000 a oltre 4.200 locali nel 2020. Nell’ultimo decennio la crescita è stata del 70 per cento, una percentuale che da sola evidenzia l’interesse del comparto per la clientela celiaca.

 

Quante celiachie conosciamo

A seconda della sintomatologia si distinguono varie forme di celiachia. Quella classica, con sintomi già nell’età infantile. È caratterizzata dai sintomi di malassorbimento tipici della celiachia: diarrea cronica, ritardo nella crescita, inappetenza, nausea e gonfiore addominale. C’è la celiachia sintomatica, un tempo definita atipica o manifesta. Presenta sintomi extraintestinali, come anemia dovuta alla carenza di ferro, aumento delle transaminasi epatiche, dolori addominali ricorrenti, ipoplasia dello smalto dentale, dermatite erpetiforme di Duhring e ritardo nella crescita in età infantile. «Le analisi sierologiche evidenziano la presenza di anticorpi specifici per la celiachia e alterazioni della mucosa intestinale», spiega Gloria Scarparo, Dietista del Corporate Nutrition Service Dr.Schär.

La celiachia subclinica è solitamente scoperta per caso, in assenza di sintomi. «Definita anche asintomatica o silente, è solitamente diagnosticata per caso in pazienti asintomatici sulla base di una analisi sierologica che evidenzi la presenza di anticorpi positivi», aggiunge Scarparo. In molti casi i sintomi sono solo apparentemente celati, in verità l’adozione di un’alimentazione priva di glutine coincide con un evidente miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche del paziente.

Poi c’è la celiachia potenziale. «Rilevante soprattutto per le persone affette da malattie autoimmuni, in questa forma detta anche celiachia latente, rientrano tutti i casi in cui è accertata la presenza di marker sierologici positivi senza che la biopsia intestinale confermi la diagnosi. Queste persone vanno tenute sotto osservazione per identificare tempestivamente una possibile atrofia dei villi». La celiachia è spesso diagnosticata anche in persone affette da una patologia autoimmune, o da sindrome di Down, Turner e Williams o che soffrono di una carenza di IgA.

La moda del senza glutine

Purtroppo oggi la dieta senza glutine è diventata anche una moda. Viene promossa da alcune star o influencer come dimagrante o più salutare, creando tanta confusione anche tra i ristoratori, che non capiscono bene come gestire clienti che si dichiarano celiaci ma poi ordinano, in base a preferenza, anche piatti con glutine. Iniziative come la Settimana della Celiachia mirano a creare e diffondere informazioni corrette sulla dieta senza glutine, una terapia salvavita per chi soffre di celiachia. Al di là del quadro patologico di questa categoria di pazienti, secondo l’AIC non apporta alcun beneficio a chi non soffre di celiachia.

Come sono cambiati i prodotti per celiaci

In passato, chi doveva eliminare il glutine dalla propria dieta, trovava un’offerta di prodotti limitata, sviluppati solo in ottica sostitutiva. Ora i celiaci hanno una lista della spesa molto più ampia, in cui si prendono in considerazione anche valore nutritivo, qualità e gusto dei prodotti. «Negli ultimi anni abbiamo continuato a rafforzare il nostro impegno per offrire soluzioni nutrizionali innovative, nate dall’individuazione di nuove materie prime, nell’attenzione alla filiera, nella cerealicoltura e nello sviluppo di prodotti – spiega Sara D’Agostini, Head of Marketing Italy Dr.Schär – L’ottimizzazione dei prodotti deriva in parte dall’ingredientistica e in parte dalle tecnologie adottate. Inoltre utilizziamo tecnologie di confezionamento innovative, che ci permettono di garantire la migliore conservazione dei prodotti senza l’utilizzo di conservanti, mantenendo intatte le caratteristiche organolettiche».

Solo in Italia l’assortimento disponibile è formato da oltre 200 prodotti tra pane, pasta, pizza, snack, biscotti, merendine e piatti pronti. «Ci sono ad esempio prodotti indicati per i consumatori che privilegiano la componente indulgence, altri pensati per chi è più sensibile ad aspetti salutistici, per chi ama i gusti più classici o per chi ama sperimentare», aggiunge D’Agostini.

Ma i “senza” della tavola contemporanea sono tanti. Per questo sempre più spesso i prodotti offerti dalle aziende specializzate abbinano al gluten free anche il senza lattosio, creando prodotti più complessi, adatti anche a chi è vegano, vegetariano o dimostra un’attenzione ai prodotti biologici. L’attenzione è massima anche al profilo nutrizionale. «Negli ultimi anni, stiamo lavorando sulla selezione di materie prime di alta qualità (cereali, pseudo-cereali, legumi, frutta secca, semi) senza glutine per natura che contribuiscono all’incremento del contenuto di fibre, proteine ed altre sostanze utili al benessere dell’organismo, sulla riduzione di grassi, sale e zucchero. Abbiamo già eliminato da tutti i prodotti in gamma (dove non assolutamente necessari) i conservanti e gli esaltatori di sapidità. Nei lievitati privilegiamo l’uso di pasta madre, per innescare naturalmente il processo di lievitazione che contribuisce a migliorare la consistenza, il sapore, il valore nutritivo e la conservabilità dei prodotti da forno», sottolinea D’Agostini.

Nel consumo fuori casa, il cibo senza glutine è maggiormente apprezzato in formato monoporzione perché il tipo di confezionamento consente, anche ai professionisti meno esperti, di servirlo in totale sicurezza e praticità, mantenendo intatta la freschezza del prodotto. Alcuni prodotti, come il pane, hanno un imballaggio monoporzione che consente di abbattere i rischi di contaminazione in forni con uso promiscuo.

 

Ristoranti e celiachia

Il sapore è stato al centro della ricerca per molti anni. I prodotti senza glutine sono diventati più gradevoli dal punto di vista del gusto, consistenza e aroma. Gli aspetti sensoriali del prodotto sono diventati il fulcro della ricerca di molte aziende. Cosa che ha interessato anche il settore Horeca. Gli ingredienti e i prodotti per le cucine senza glutine oggi sono, di conseguenza,  di qualità migliore. Inoltre, aziende come Dr. Schär e la stessa AIC si occupano di formazione per ristoratori e chef, proprio per non sprecare l’occasione di consolidare una nicchia di mercato sempre più importante. Se un tempo sembrava impossibile, ora parlare di cucina gourmet senza glutine non solo è possibile ma è sicuramente un’interessante leva per aumentare la propria clientela. Chef come Filippo La Mantia, Andrea Greco e Carlo Le Rose hanno dedicato parte del proprio lavoro a questo tipo di cucina.

«Alimentarsi, soprattutto fuori casa, porta con sé una importante componente di socialità, oltre che di servizio – spiega Susanna Neuhold, responsabile Food AIC – Non si pranza fuori casa solo per lavoro o necessità, ma spesso per il piacere di condividere, di incontrare gli amici, di celebrare festività e momenti simbolici della propria vita». Per questo è stata istituita anche un’app, AIC Mobile, capace di informare il consumatore su tutti i servizi attivi aderenti al programma Alimentazione Fuori Casa senza glutine di AIC e i tipi di pasti serviti in un dato locale.

I criteri che il locale e il personale devono rispettare per essere inclusi negli elenchi AIC sono rigorosi. È molto importante che tutto lo staff sia preparato e consapevole dell’importanza di fornire al cliente celiaco un piatto sicuro, esente anche da minime tracce di glutine. Non è necessario avere una cucina dedicata, ma gli spazi e le superfici dedicate al senza glutine devono garantire che si possano evitare rischi di contaminazione accidentale del piatto. È fondamentale però partire dalla dispensa, dove gli ingredienti adatti alle persone affette da celiachia saranno riposti in zone dedicate e saranno stati attentamente selezionati tra le forniture del locale. Infine, è importante che anche chi serve ai tavoli abbia piena conoscenza del problema e delle procedure attuate, prevedendo una corretta e chiara comunicazione tra cucina e sala onde scongiurare il pericolo di scambiare un piatto con l’altro al momento del servizio. Si tratta quindi di individuare insieme organizzazione degli spazi, procedure e materie prime. La formazione riveste dunque un ruolo chiave.

 

Celiachia e pandemia

Intanto, anche molti locali aderenti al programma AFC hanno chiuso le proprie cucine per non riaprirle più. Ciò nonostante, ci sono stati circa un centinaio di nuovi ingressi nella Guida all’Alimentazione Fuori Casa senza glutine nell’estate 2020. «Offrire l’adesione all’AFC ad un locale significa anche dargli una opportunità di crescita, una modalità di fare impresa fortemente orientata al cliente, anche quello vulnerabile sotto il profilo della dieta, e, conseguentemente, l’occasione per aumentare il proprio indotto», aggiunge Neuhold. Formarsi e differenziarsi, aggiungendo frecce al proprio arco, può essere una strategia per affrontare giorni di chiusura forzata e immaginare un futuro alternativo al servizio di ristorazione convenzionale.

Fonte: www.linkiesta.it